Via Leoncino, strada esterna alla città romana, è sorta come sobborgo nel primo medioevo con edifici modestissimi a ridosso della cinta edificata dall’Imperatore Gallieno, che da questo lato non aveva pomerio a causa della forte depressione del terreno. Dal secolo XII entrò a far parte della nuova cinta comunale, nel quartiere cosiddetto Maggiore, suddiviso fra le contrade di S. Fermo e S. Pietro Incarnario. Dal Cinquecento vide sorgere importanti palazzi e diventò una via aristocratica. Procedendo dall’Arena, sul lato a sinistra vi sboccano: la Via Frattini (già Scuole Comunali) e la Via S. Cosimo. Quest’ultima, è popolarmente conosciuta anche come via dei “Puoti”, per certe buffe cariatidi che stanno sulla facciata del secentesco palazzo della famiglia Turco. A destra si trovano: via Tazzoli (già vicolo Leoncino), via Rocche (già vicolo omonimo), via Malenza (già vicolo S. Fermo) e via Frangini (già via San Fermo), notevole per il severo Palazzo Murari della Corte Bra’ e per lo sfondo magnifico e pittoresco della porta laterale della chiesa gotica di San Fermo Maggiore. Queste vie congiungono via Leoncino a Stradone San Fermo.
Non poche case di questa bella via conservano i vecchi numeri civici, anteriori all’anno 1871.
Il toponimo deriva dall’insegna di una vecchia osteria verso l’Arena, detta del “Leoncin d’oro”. Via Leoncino rappresenta la più diretta congiunzione tra Piazza Bra’ e la sinistra del fiume Adige ed è una delle vie più signorili della città, di molto interesse anche per i notevoli resti di epoca romana e la ricchezza dei suoi palazzi già appartenuti alle storiche famiglie della nobiltà veronese.
Lato sinistro - Itinerario partendo dall’Arena:
Il lato sinistro della via (numeri civici pari) è formato da palazzi edificati a ridosso delle mura romane. Si hanno notizie documentate per ritenere che qualche tratto di esse - designato in volgare “el muro vecio” o “el murazzo” - esisteva ancora scoperto sulla via nel corso del XVI° secolo. Si tratta della cinta rinforzata da Gallieno nel IV° secolo dell’impero con materiali in gran parte di spoglio. Si snodava all’incirca dall’angolo di Via Frattini fino a Palazzo Pindemonte e alla porta romana dei Leoni.
I resti tuttora esistenti si trovano natural-mente nell’interno di alcuni palazzi, a vari metri dalle facciate, a livello del piano terreno (per vederli bisogna entrare ai civici numeri 10, 12, 14, 16).
Al n.° 18 si osservi il Palazzo già Cav. Amistà, con portone classico, dell’architetto Ronzani, costruito sull’area di una prece-dente casa Guarienti, tutta affrescata e demolita ai primi dell’Ottocento.
Al n.° 16 sorge il Palazzo Giusti del Giardino, già Eredi Albertini, interessante anche per altri motivi: esso è formato da due distinti corpi di fabbrica divisi da un cortile che nel Cinquecento era area pubblica, segnante il confine tra le contrade di S. Fermo e S. Pietro Incarnario. Nel cortile si vede il busto di Alberto VII, con a fianco le statue dell’Italia e della Giustizia, e altri minori pezzi di scultura. A coronamento del muro esterno sulla via, corre una loggetta con graziosi putti settecenteschi e sul davanti stanno i medaglioni di Dante e Petrarca. Il muro romano è visibile in un corridoio a piano terreno sulla destra del cortile.
I numeri civici 14 e 12 corrispondono internamente a due cortili del grandioso Palazzo già Sagramoso poi Goldschmiedt. Nel maggiore dei due, al n.° 12, è dato vedere: un bel tratto di muro romano a grossi blocchi di pietra, un antico capitello, una lapide con versi scolpiti, un frammento di fregio, un capitello corinzio di epoca romana ed anche i resti di due torri medioevali, due delle 48 che si afferma esistessero allora in Verona.
Nel minore, al n.° 14, si trova un altro tratto delle stesse mura di notevole altezza ed imponenza.
Al n.° 10, l’elegante Palazzo De Stefani. Nella parete di fondo dell’atrio torna visibile una porzione della cinta romana con i suoi suggestivi blocchi in pietra sopra uno dei quali l’Ing. Stefano De Stefani nel 1929 ha fatto scolpire la seguente iscrizione:
MURI VERONENSIUM
FABRICATI JUBENTE
GALLIENO AUGUSTO
Mura dei Veronesi costruite per ordine di Gallieno Augusto
Sempre sul lato sinistro della via, al n°. 6, troneggia il grandioso palazzo Erbisti, già Salvi, ora Grezzana. Opera stimata dell’architetto veronese Adriano Cristofoli (1717-1788). All’esterno si trovano quattro affreschi deperiti con storie sacre dipinte dal nostro Michelangelo Aliprandi, allievo di Paolo Caliari a Venezia. Al piano nobile, decorato con stucchi e affreschi, lo splendido salone centrale con la scenografia di Giorgio Anselmi. Notevoli lo scalone a due rampe e la classica armoniosa facciata posteriore sul cortile interno, d’ispirazione sammicheliana. In questo palazzo fu ospitato l’imperatore Francesco I d’Austria durante il famoso Congresso di Verona del 1822.
Lato destro - Itinerario partendo dagli scavi di Porta Leoni:
Al n.° 5 la vecchia casa Bentegodi, già Pindemonte, poi Ongania (inserimento del balcone in facciata nel 1783). Nota per la facciata adorna con affreschi monocromati, dipinti da Battista del Moro che vi rappresentò, dal 1550 al1560, scene romane tra cui il famoso episodio di Coriolano e Vetturia.
Al n.° 9 Palazzo Dionisi dei primi del Cinquecento. Rinascimentale, con stemma gentilizio sulla serraglia del portone, un bel atrio e nel muro interno del cortile un medaglione dipinto con l’effige di un Dionisio che fu condottiero di Federico Barbarossa nel 1180, agli albori del Comune Veronese.
Al n.° 13, il palazzo già Serego-Alighieri, poi Milla ed ora Pellicari, di notevoli proporzioni e linee baroccheggianti, è opera stimata dell’architetto veronese Luigi Trezza (1753~1824), allievo di Adriano Cristofoli e seguace del Sammicheli. Eretto sull’area della vecchia casa dei discendenti del sommo poeta, presenta un grandioso atrio adorno di statue, uno scalone marmoreo con un simulacro di Dante e un ampio vestibolo al piano nobile con due grandi e belle statue in terracotta bronzata del Nettuno e di Mercurio, rispettivamente simboli di attività marinaresche e commerciali.
Al n.° 19 la casa già Malfer, poi Tantini, semidistrutta dalla guerra e ricostruita nel 1947 per opera dell’attuale proprietario che ha saputo valersi di alcuni elementi decorativi preesistenti e di altri nuovi da lui stesso ideati con buon gusto, per conferire il più piacevole e decoroso aspetto alla sua dimora. Nell’atrio d’ingresso si trovano due colonne romane che stavano nel cortile e una piccola riproduzione in marmo del famoso Davide di Michelangelo molto accurata. Nel cortile, oltre ad una bella scala esterna (modellata su quella del Castello di Soave), un balconcino del Trecento con mensole riprodotte dal balcone di Giulietta e alcune statue.
Fonte: Vita Veronese – 5/1951
Iscrizioni romane
Al n. 12 nel cortile interno di palazzo Goldschmiedt, già Sagramoso, si trova una pietra incisa nel 1781:
via-leoncino
NOBILI ET MERITISSIMA PUELLA
GRAVI SERVATA PERICOLO PRO LAVANTIBUS ATTRISTINO.
SCALIS OSTIUM PENSILE SUBSTITUITAN MDCCLXXXI
"Scala dirotta qui scendeva ed era per giù caderne, oimè, vaga donzella che un’altra più gentil de la primiera Pluto volea proserpina novella. Ma quel Giove che qui provido impera il reo varco ne chiuse ad ogni bella, ben cortese aprirallo a quelle tutte se voglion irvi che sien vecchie e brutte".
L’ottava in versi che si legge dopo l’iscrizione, vuol esserne l’interpretazione poetica italiana.
Nel cortile di Palazzo Giusti, al n°. 16, di fronte al portale d’ingresso si legge :
PENNA METUENTE SOLVI
Con penna infaticabile
Sulla facciata del palazzo al n°. 19, tra due finestre del piano terreno:
PETRE CUSTODI - D.NO PLEBE TVA
Custodisci Pietro al Signore il tuo popolo
Nell’atrio, presso il portone:
QUAS AEDES / HABENTE SECULO XV P. CH. N. / BONIFACIUS COMES PATRICIO APPARATO STRUXERAT / ANNO SALUTIS MCMXLV / DESUPER CADENS RUINA LAESIT / TEUTONICAE TURBAE PROFLIGATAE RABIES EVERSIT / IN QUEM MODUM CERNITIS / PETRUS CARTONIUS RESTITUIT / ANNO SALUTIS MCMXLVII
Questo palazzo che il conte Bonifacio aveva costruito con stile signorile alla fine del secolo XV, danneggiato da bombardamento aereo, distrutto dalla rabbia delle orde teutoniche in fuga, fu ricostruito da Pietro Carton nell’anno 1947 nel modo che si vede.
Unica lapide su casa privata di Verona, che ricordi un importante restauro, conseguente alle distruzioni della seconda guerra mondiale.